SUBITO DOPO L'8 SETTEMBRE      


PERCHE' LA DIVISIONE “M” NON REAGI' AL 25 LUGLIO Il memoriale inedito del Generale Lusana al Capo della RSI. Quello che fece dire Galbiati al comandante della grande unità prima di convocare a rapporto tutte le altre forze fasciste per esortarle a non reagire al “golpe legale” del Maresciallo Badoglio
Emilio Cavaterra 
 
 
    Quando si vide davanti un Mussolini emaciato, stanco, il sorriso tirato, la cravatta storta e il vestito scuro tutto spiegazzato, Hitler non poté trattenersi. Dopo averlo abbracciato, un gesto insolito per lui, gli chiese: «Ma cos'è stato questo Fascismo che si è dissolto come neve al sole? Per anni ho garantito ai miei generali che il Fascismo era l'alleanza più sicura per il popolo tedesco ...» La risposta del Duce fu, per quanto se ne sa, piuttosto imbarazzata, anche perché egli non poteva sapere che non pochi erano stati i fascisti, alle armi o semplicemente iscritti al Pnf, che si erano ribellati alla normalizzazione badogliana specialmente nel Mezzogiorno. Nel Lazio poi, nella notte del 26 luglio, il XVI° Battaglione "M" di Como al comando del tenente colonnello Marabini, si mise in marcia al gran completo con le armi cariche per raggiungere la Capitale e fu bloccato soltanto dall’intervento un Reggimento chimico del Regio Esercito, che accerchiò il battaglione minacciando di aprire di fuoco in caso di resistenza.
    Nonostante questi, peraltro sporadici, episodi di reazione, un "sollevamento" vero e proprio delle formazioni armate fasciste all’indomani del 25 luglio e dell'arresto di Mussolini, non ci fu. I motivi furono diversi, a cominciare dalla "diramazione" alla calma da parte del segretario nazionale del Partito, Carlo Scorza, rivolto a tutte le Federazioni fasciste d’Italia; ma ebbe il suo peso anche l'asserzione di Badoglio che la guerra continuava. Tuttavia, costituita che fu la Repub blica Sociale italiana e rinfocolati i desideri di rivalsa e di vendetta tra le file dei fascisti, furono arrestati e processati, oltre ai membri del Gran Consiglio che avevano votato l'ordine del giorno Grandi, anche lo Scorza e il suo vice Tarabini, perfino l'accantonato Starace, suo lontano predecessore e il comandante della Divisione corazzata "M", fiore all'occhiello delle forze armate in camicia nera. Era acquartierata a Campagnano Romano, pochi chilometri dalla Capitale; aveva un buon armamento e persino alcuni carri armati, una batteria di cannoni da 88 mm. e duemila uomini assai motivati. Una formazione di tutto rispetto e assai temuta, che avrebbe potuto almeno  tentare la liberazione del Duce prigioniero di Badoglio, ma non si mosse. Perché? Per giustificarsi e respingere le accuse di tradimento che in quel periodo fioccavano, il comandante della Divisione, maggior generale Alessandro Lusana, scrisse un memoriale a Brescia e lo fece pervenire al Capo della Rsi in quel di Gragnano.
 
 
Rapporto agli ufficiali
 
    Un documento da consegnare alla storia, che "Storia Verità" è riuscita a rintracciare e ne pubblica ampi stralci che gettano nuova luce sui retroscena di quei giorni, a cominciare dalla "calata" su Roma, in tutta segretezza, dei nuclei carri della Divisione "Ariete", evidentemente per fronteggiare qualsiasi reazione al "golpe legale". Nella notte del 24 luglio 1943, dunque gruppi di carri armati transitarono per Campagnano diretti a Roma e furono seguiti, “per spiarne le mosse", dal centurione (capitano) della "M" De Rosa in motocicletta, ma senza alcun esito. L'autodifesa del Generale Lusana così prosegue: «Dopo l'annuncio delle dimissioni del Duce, tentai subito di portarmi a Roma al Comando generale, ma non vi riuscii. Alle ore 0,35 del 26 venivo fermato dalla massa di popolo che si adunava a piazza Venezia. Visto ciò, rientrai in sede al mio posto di comando ove adunai tutti gli Ufficiali.. ed attraverso un breve rapporto detti ordini di rintuzzare con energia, magari con le armi, ogni offesa alla camicia nera... All'alba del 26, visto che non giungevano ordini da Roma, cercai di far attraversare lo sbramarento posto dalla Divisione 'Ariete' al furgoncino della Posta, cosa che non riuscì». Vi riuscì più tardi lo stesso centurione De Rosa, che raggiunse finalmente il Comando generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), dove fu ricevuto dal comandante, il generale Galbiati che gli chiese: «Cosa volete fare?» e l'interpellato: “Come! Venire a Roma e risolvere la situazione. Il mio generale non attende che la vostra autorizzazione a lasciarci fare!”. Galbiati, prosegue il memoriale Lusana, «si guardò intorno e poi, stringendogli la mano soggiunse: “ Bravo! Sei un bel fascista così come il tuo generale, ma non è possibile. Ringrazia il tuo Comandante, ma digli che il mio ordine è questo: continuare l'adde-
    stramento.“ Poco dopo, lo stesso Galbiati tenne un "rapporto", nell'apposita sala, alle altre forze fasciste presenti: fece una sintetica relazione sugli avvenimenti rivelando che «il nuovo capo del Governo mi ha mandato una lettera dicendomi che da soldato a soldato impegnava la mia parola, perché la Milizia continuasse fianco a fianco alle altre forze armate a combattere il nemico e concludeva invitandomi presso di lui per stringermi la mano».
 
    Il prologo della catastrofe. I primi soldati tedeschi a Roma nell'estate dei 1943, subito dopo il 25 luglio
 
 
    Il “visto” di Mussolini
 
    Ma, intanto, fu sostituito dal generale Armellini e lui, «dopo aver riflettuto tutta la notte sul da farsi, ho pensato di intervenire con la Milizia. Ma ho fatto le seguenti considerazioni: il nemico alle porte - la guerra civile. Ho perciò ordinato che la Milizia non si muova. C'è qui presente a rapporto il centurione De Rosa, messaggero del generale Lusana che vuole raggiungere Roma con la sua Divisione, ma io ho ordinato che si continui l'addestramento».
    Tornato a Campagnano, De Rosa riferì il tutto al suo comandante che nel memoriale così scrisse: «Mentre si discuteva se avessimo dovuto ottemperare o meno agli ordini ricevuti in quanto era nostro fermo proposito portarci a Roma ad ogni costo, ci venne comunicato che la Divisione celere tedesca (forza valutata ad un centinaio di automezzi e circa 700 uomini) che nella notte dal 25 al 26 aveva transitato per Settevene (una borgata alla periferia di Roma, Ndr), ritornava sui propri passi. Evidentemente la presenza dell’"Aríete" con i suoi 300 carri armati di cannoni da 75 a proiettili perforantí aveva sconsigliato i tedeschí ad intervenire e ciò giustificava anche l’ordine di Galbíati nei nostri riguardi di non muoversi in relazione alle nostre esigue forze».
    Il memoriale difensivo del maggior generale Lusana così conclude: «La sera del 26 un ordine del generale Armellíni mi comunicava di aver disposto la mia sostituzione con il generale Calvi di Bergolo. Ciò nonostante non mi diedi per vinto e, pur avendo già lasciato il comando la mattina del 28 luglio, riunii nella mia abitazione in Roma il capitano tedesco Verner ed altri ufficiali germanici per studiare la sostituzione e formulare un programma. Venne deciso che io mantenessi sempre il contatto con la mia Divisione e ne
    seguissi passo passo la dislocazione per un futuro eventuale nostro intervento. Elementi di collegamento fra me e la Divisione erano il capitano De Rosa, il senjore (maggiore, Ndr) Cioni ed il capitano Ederle».
    Benito Mussolini lesse questa autodifesa il 2 settembre del 1944 nel suo studio sul lago di Garda, e vi appose la solita "M" a mo' di “visto”. E Alessandro Lusana scampò la galera: non era un "traditore" come i cinque gerarchi del Gran Consiglio del Fascismo che erano stati fucilati qualche mese prima, nel Poligono di tiro a Verona.
 
 
STORIA VERITA' N. 10 Gennaio Febbraio 1998  (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

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